
Capita sempre più spesso di assistere alla lettura, o peggio, alla visione e diffusione di messaggi privati, ad altri se non ad una “platea” di soggetti. Ma cosa dice la legge?
Si ricorda che la questione è tutelata a livello Costituzionale. L’art. 15 della Costituzione recita: “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”.
È una norma datata nel tempo, siamo intorno al 1948 e tuttavia la lungimiranza dell’epoca portò a quella “ogni altra forma di comunicazione”, che oggi consente di ricomprendere anche le nuove tecnologie. Il principio da tutelare è quello della segretezza delle comunicazioni private che vengono fatte in quanto tali in modalità e in una dimensione che, evidentemente, non si vuole sia pubblica.
Passando alle norme che quel principio vanno a tutelare non si può non considerare l’art. 617 septies c.p. (introdotto con il decreto legislativo 29 dicembre 2017 n.216) il quale punisce con la reclusione sino a quattro anni chiunque, al fine di recare danno all’altrui reputazione o immagine, diffonde con qualsivoglia mezzo riprese audio o video, compiute fraudolentemente, di incontri privati o registrazioni di conversazioni, telefoniche o telematiche, svolte in sua presenza e con la sua partecipazione. Di conseguenza, se la divulgazione non costituisce alcun danno per la presunta vittima non può ritenersi configurato il reato di cui sopra.
Nel campo della tutela alla privacy poi vi sono norme che tutelano l’ipotesi di trasmissione ad altre persone dei così detti “dati personali” ovvero sensibili
Una ipotesi particolare attiene alla pubblicazione o all’inoltro di una conversazione al solo scopo di far conoscere a terze persone i dati personali.
Quando la pubblicazione, diffusione, divulgazione di una “comunicazione” privata mira a “ledere” la reputazione di una persona potrebbe configurarsi l’ipotesi di diffamazione. Si ricorda, allora, che l’articolo 595 del codice penale, punisce con la reclusione sino ad un anno o con la multa fino a milletrentadue euro chiunque, comunicando con altre persone, offende l’altrui reputazione; la pena è aumentata sino a due anni e la multa è sino a duemilasessantacinque euro se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato; infine, se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità ovvero in atto pubblico la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.
La della Corte di Cassazione, I Sez. Penale, del 2 gennaio 2017 n.50 ha di recente chiarito che “la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 terzo comma cod. pen., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone”. Nello specifico, la Corte era stata chiamata a pronunciarsi sulla diffusione di messaggi minatori ed offensivi mediante il social network facebook, ma ben può equipararsi il contenuto di suddetta pronuncia ad altre ipotesi di diffusione social, quale è appunto whatsapp.
Ultimo ma non ultimo va ricordato l’art. 616 c.p. rubricato “violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza”: viene punito con la reclusione sino ad un anno o con la multa da trenta a cinquecentosedici euro chiunque prende conoscenza del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero distrae o sottrae, allo scopo di farne prendere ad altri cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta ed anche in questo caso a lui non diretta. Per di più, se il colpevole, senza giusta causa, rivela in tutto o in parte il contenuto della corrispondenza è punito, se dal fatto deriva nocumento ed il fatto non costituisce reato più grave, con la reclusione sino a tre anni.
Luca Volpe